News


La Corte Costituzionale interviene sugli effetti patrimoniali della nullità del matrimonio concordatario

Con sentenza n. 329/2001, la Corte Costituzionale ha affrontato la questione della legittimità della disciplina propria del matrimonio religioso, in relazione all’art. 3 della Costituzione. Nel caso in cui venga annullato il matrimonio regolato dal diritto canonico, il coniuge, privo di redditi sufficienti per il suo sostentamento, ha diritto di ricevere dall’altro coniuge una somma di danaro periodica, per un periodo non superiore a tre anni (art. 129 c.c.). I tribunali di Vicenza e Roma hanno rilevato come gli effetti patrimoniali della dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario siano meno garantisti nei confronti del coniuge privo di risorse economiche, rispetto a quelli che conseguono alla dichiarazione di divorzio. In quest’ultimo caso, infatti, il coniuge più svantaggiato ha diritto ad un assegno di mantenimento. La Corte Costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità, così come prospettata dai giudici rimettenti.

I tribunali di Vicenza e Roma hanno rilevato il diverso grado di tutela che l’ordinamento riserva al coniuge, il quale ottenga l’annullamento del matrimonio religioso, rispetto a quello che spetta al coniuge che ottenga il divorzio. Nel primo caso, infatti, il coniuge, privo di redditi adeguati al proprio sostentamento, ha diritto a somme periodiche di danaro per un periodo massimo di tre anni; nel secondo, invece, egli ha diritto all’assegno di mantenimento. Tale diverso grado di tutela violerebbe l’art. 3 della Costituzione. La Corte adita, pur ammettendo la necessità di un intervento legislativo, ritiene che le questioni di legittimità costituzionale, così come formulate dai giudici rimettenti, siano infondate. Secondo la Suprema Corte, infatti, le questioni sollevate riguardano solo gli effetti patrimoniali della nullità del matrimonio concordatario; mentre, sul presupposto che anche la nullità del matrimonio celebrato con il rito civile darebbe luogo ad esigenze di tutela del coniuge più debole, i Giudici rimettenti avrebbero dovuto dubitare della legittimità della disciplina generale della nullità del matrimonio. Sono stati posti a confronto, dunque, due istituti totalmente diversi tra loro: il divorzio, da un lato, e il matrimonio religioso, dall’altro, che, in quanto tali, escludono la violazione dell’articolo 3 della Costituzione.