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Il contenuto della posta elettronica del lavoratore non può essere utilizzata dal datore di lavoro nei provvedimenti disciplinari

Il Tribunale Amministrativo della Regione Lazio, con sentenza n. 9425 del 15 novembre 2001, ha affermato che il datore di lavoro (nel caso di specie il Ministero degli Esteri) non può strumentalizzare il contenuto della corrispondenza elettronica (e-mail) dei propri dipendenti, al fine di irrogare sanzioni disciplinari nei loro confronti. In particolare, con la pronuncia in commento, il TAR ha ribadito la natura giuridica della corrispondenza elettronica, affermandone il carattere della segretezza, alla stregua della corrispondenza cartacea o telefonica. Tale assimilazione produce evidenti riflessi anche nell’ambito della tutela penale prevista a favore della corrispondenza (secondo la definizione contenuta nell’art. 616 c.p.), al fine di reagire contro forme di intercettazioni e utilizzazioni abusive.

Nel caso di specie, l’Amministrazione (Ministero degli Esteri) ha reso oggetto di un procedimento disciplinare nei confronti di un suo dipendente, il contenuto della corrispondenza informatica di un quest’ultimo, contenuta in una mailing-list con accesso subordinato all’utilizzo di una password. Il dipendente, infatti, nell’ambito della stessa mailing-list, aveva espresso delle opinioni critiche sull’operato del Ministero. Al circuito elettronico aveva accesso anche un funzionario del Ministero, che, venuto a conoscenza delle opinioni espresse da dipendente, provvedeva a informarne i suoi superiori gerarchici. Ne derivava una nota scritta del direttore generale del personale, pregiudizievole per la carriera del lavoratore. Quest’ultimo impugnava il provvedimento davanti al TAR Lazio, sostenendone l’illegittimità in relazione alla libertà di pensiero, sancita costituzionalmente. Il Ministero rilevava come la posta elettronica non potesse essere assimilata alla corrispondenza privata, mancando il carattere della segretezza: alla rete di posta elettronica, infatti, potevano accedere tutti i funzionari del Ministero, in qualsiasi momento. Il Tribunale ha statuito, in primo luogo, che la corrispondenza trasmessa in via informatica, al pari di quella epistolare o telefonica, è contraddistinta dal carattere della segretezza (art. 616 c.p.); in secondo luogo, che il messaggio inviato alla mailing-list conteneva la manifestazione di un libero pensiero, destinato a un numero limitato di persone. Il dipendente, quindi, esprimendo quell’opinione nell’ambito di un circuito accessibile attraverso una password, non l’aveva diffusa in modo indifferenziato e in contrasto con le regole della riservatezza.