La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronuncia sul diritto del lavoratore di opporsi alla cessione del suo contratto di lavoro.
Con provvedimento del 24 gennaio 2002 (procedimento C-51/00), la Corte di Giustizia U.E. si è pronunciata sull’art. 3 della Direttiva 77/187/Cee (successivamente modificata dalla direttiva 98/50 Cee), in materia di trasferimento d’azienda, considerando, in particolare, i suoi effetti sul rapporto di lavoro in essere al momento del trasferimento stesso. Secondo la Corte, in previsione della cessione del suo rapporto di lavoro a seguito del trasferimento dell’azienda, può opporsi alla cessione del suo contratto e scegliere di continuare a lavorare nell’impresa dell’imprenditore cedente, ovvero può optare per la risoluzione del rapporto di lavoro.
La pronuncia della Corte di Giustizia U.E. sull’art. 3 della Direttiva 77/187/Cee, così come modificata dalla Direttiva 98/50/Cee, è destinata a produrre notevoli effetti sull’applicazione nell’ordinamento italiana del Decreto Legislativo, che ha recepito la direttiva stessa. Il d.lgs. 2.2.2001, n. 18, infatti, ha modificato il contenuto dell’art. 212 del codice civile prevedendo che: “[…] il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’art. 2119, primo comma”. L’ordinamento italiano, quindi, non prevede il diritto, in capo al lavoratore di opporsi alla cessione del suo contratto di lavoro, ma soltanto la facoltà di rassegnare le proprie dimissioni, a fronte di una sostanziale modificazione delle condizioni di lavoro, a seguito del trasferimento d’azienda. La Corte di Giustizia, invece, pur riconoscendo valore imperativo al disposto contenuto nell’art. 3 della citata Direttiva, ha riconosciuto al lavoratore la facoltà di “[…] rifiutare che il suo contratto di lavoro sia trasferito al cessionario”.