Obbligo di motivare l’esclusione dalla gara d’appalto per mancanza del requisito della moralità professionale.
Il Consiglio di Stato, recentemente, con la sentenza n. 1145 del 01.03.2003, ha ritenuto illegittimo il provvedimento di esclusione di un’impresa da una gara d’appalto per mancanza del requisito di moralità professionale, desunta esclusivamente dalla presenza di una condanna a carico del legale rappresentante dell’impresa esclusa.
I giudici di Palazzo Spada, con la pronuncia citata, ritengono non sufficiente il mero riferimento ad una sentenza di condanna a carico del legale rappresentante di una ditta per fondare il provvedimento di esclusione dovuto alla mancanza del requisito della moralità professionale. Tale carenza discende della diretta valutazione dell’interesse pubblico concreto che la pubblica amministrazione è chiamata necessariamente ad operare. In relazione al concetto di moralità professionale, requisito che rileva in ordine all’affidamento di appalti pubblici, la pubblica amministrazione gode di amplissimi margini discrezionali, non essendo normativamente predeterminati i parametri ai quali attenersi nell’operare la valutazione in oggetto. Tale libertà d’esplicazione della discrezionalità amministrativa non può si può comunque spingere sino a ritenere l’amministrazione esentata dall’operare la valutazione richiesta, alla stregua non di criteri astratti e generali, ma in relazione al caso concreto. In particolare la pubblica amministrazione, nell’escludere un’impresa dalla gara d’appalto per mancanza del requisito di moralità professionale dovrà compiere una valutazione, ampiamente discrezionale, ma ancorata pur sempre al caso concreto e cioè alle caratteristiche dell’appalto, al tipo di condanna ed alle modalità di commissione del reato. Ciò in ossequio alla necessità che una tale valutazione dell’interesse pubblico, nel caso concreto, la pubblica amministrazione l’abbia effettivamente operata.