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Il valore probatorio delle dichiarazioni sostitutive

Nei confronti della pubblica amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi, è possibile far valere le dichiarazioni sostitutive, le cosiddette “autocertificazioni”, come mezzi di prova, anche se non è possibile prescindere dal principio per cui nessuno può derivare elementi di prova, a proprio favore, da proprie dichiarazioni, per il soddisfacimento dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.

La Corte di Cassazione, ha delineato un’importante distinzione, con riferimento all’utilizzo delle dichiarazioni sostitutive, ai fini di mezzi di prova. La Corte ha, infatti, introdotto un distinguo tra i casi in cui le dichiarazioni vengono utilizzate entro procedimenti amministrativi e i casi in cui vengono prodotte nell’ambito di procedimenti giudiziari. Con la sentenza n. 12999 del 5 settembre 2003, la Cassazione si è pronunciata in ordine alla questione se le dichiarazioni sostitutive, circa la sussistenza dei requisiti socio-economici, per godere di un assegno di invalidità, potessero valere al fine del soddisfacimento dell’onere della prova. La Corte ha affrontato la questione specificando che soltanto in sede di giudizi civili tali dichiarazioni sono prive di qualsivoglia valore probatorio o indiziante. Al contrario, in sede di procedimenti amministrativi le suddette dichiarazioni valgono quali mezzi probatori, fino a contraria risultanza. Tuttavia, in capo alla p.a., restano legittimi poteri di vigilanza, poiché l’utilizzabilità delle dichiarazioni sostitutive non è assoluta. La p.a. può effettuare controlli in pendenza e a posteriori, in caso di dubbio sulla veridicità delle dichiarazioni medesime, e ritenga opportuno revocare gli eventuali benefici concessi.