Il criterio qualificante la “vendita sottocosto”, ai fini dell’integrazione di un atto di concorrenza sleale.
Con sentenza 16 novembre 2000, n. 14844, la Corte di Cassazione, Sez. I, ha affermato che si configura la fattispecie di concorrenza sleale per "vendita sottocosto", quando il prezzo al pubblico della merce risulta inferiore al costo sostenuto dalla venditrice e non, diversamente, nel caso in cui tale prezzo sia inferiore a quello pagato ai fornitori dalla concorrenza. Con la sentenza sopraccitata, la Suprema Corte individua il criterio che qualifica la nozione di vendita "sottocosto" ed interviene con una pronuncia che troverà seguito nel recente decreto approvato dal consiglio dei ministri il 23 febbraio 2001.
La prima sembra aver indirizzato, se non proprio influenzato, il secondo. Nel caso di specie, una enoteca cita in giudizio un supermercato per aver messo in vendita, quest’ultimo, alcuni superalcolici di marca ad un prezzo non solo di gran lunga inferiore a quello di mercato, ma addirittura inferiore a quello da lei pagato al momento dell’acquisto. Il Tribunale di Roma e la Corte d’Appello, che conferma la decisione del primo, non concedono l’inibitoria richiesta dall’attrice, sul presupposto che il caso di specie non integra la fattispecie di vendita sottocosto per due motivi: da un lato, i consumatori destinatari dei prodotti appartengono a due categorie diverse (“elitaria” nel caso dell’enoteca, “di massa” nel caso del supermercato); dall’altro non è stato provato il carattere di sistematicità di questa tipologia di vendita a prezzi molto ridotti. La Corte di Cassazione, chiamata a decidere sul punto, conferma le pronunce delle corti di merito e statuisce espressamente che: “non si ha vendita sottocosto se il minor prezzo al pubblico, fissato dal supermercato rispetto alla concorrenza, sia dovuto ad un minor costo all’origine della merce”. Ai fini dell’integrazione della vendita sottocosto, come atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, quindi, è necessario fare riferimento non tanto al prezzo pagato dalla concorrenza al momento dell’acquisto, ma a quello pagato dallo stesso venditore. Lo stesso regolamento delle vendite sottocosto, approvato il 23 febbraio 2001, all’art. 1, comma 1, afferma: “Nel presente regolamento si intende per vendita sottocosto la vendita al pubblico di uno o più prodotti effettuata ad un prezzo inferiore a quello risultante dalle fatture di acquisto maggiorate dell’imposta di valore aggiunto e di ogni altra imposta o tassa connessa alla natura del prodotto e diminuito degli eventuali sconti o contribuzioni riconducibili al prodotto medesimo […]”.