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Approvata la Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico

Il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno approvato l’8 luglio 2000 la Direttiva 2000/31/CE relativa al commercio elettronico, nel mercato interno. La Direttiva è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, serie L, 17.7.2000, n. 178. Gli Stati membri dovranno darne attuazione entro il 17 gennaio 2001.

La Direttiva tratta i seguenti settori: la disciplina giuridica dello stabilimento dei prestatori di beni o servizi della società dell’informazione; il regime delle comunicazioni commerciali; la disciplina dei contratti per via elettronica; la responsabilità degli intermediari; i codici di condotta; la composizione extragiudiziaria delle controversie; i ricorsi giurisdizionali e la cooperazione tra Stati membri. Tra gli aspetti più significativi della Direttiva, sono le disposizioni relative al cosiddetto spamming, definito “comunicazione commerciale non sollecitata”, consistente, in altre parole, nella ricezione di posta elettronica non richiesta, a fini pubblicitari. La Direttiva prevede l’obbligo per il mittente di inserire in appositi registri i nominativi dei destinatari che dichiarino di rifiutare la ricezione di tali messaggi. Il destinatario, tuttavia, ha l’onere di chiedere l’iscrizione in tali registri del mittente. Altro aspetto significativo è l’indicazione delle modalità di conclusione dei contratti telematici, tra venditore e compratore. Mentre, ad esempio, secondo il codice civile italiano il contratto si considera concluso nel momento in cui “chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte” (art. 1326 c.c.), la Direttiva 2000/31 prevede non solo che il prestatore del servizio debba accusare ricevuta dell’ordine del destinatario, senza ingiustificato ritardo e per via elettronica, ma stabilisce che ordine e relativa ricevuta si considerano “pervenuti” quando le parti cui sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi. Viene stabilita, quindi, una presunzione di conoscibilità. La Direttiva non affronta il delicato problema della validità delle clausole abusive (vessatorie), che non sono valide senza sottoscrizione, anche se l’orientamento manifestato in dottrina è quello di ritenere estendere a tali clausole la disciplina prevista per la validità della sottoscrizione digitale.