La Corte di Cassazione esclude che l’amministratore condominiale possa agire nei confronti del condomino apparente.
Con sentenza 8.4.2002, n. 5035, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ha composto il contrasto giurisprudenziale in merito alla possibilità, o meno, dell’amministratore condominiale, di agire nei confronti del condomino apparente per il recupero delle somme non corrisposte, relative alle quote di gestione. La Suprema Corte ha affermato che il condominio deve citare in giudizio il vero proprietario dell’unità immobiliare, le cui quote di spesa siano rimaste insolute, e non il soggetto che possa apparire tale. L’amministratore, quindi, ha l’obbligo di individuare il vero proprietario attraverso ricerche presso i pubblici registri, non potendo invocare il principio di apparenza del diritto; principio che tutela soltanto i terzi di buona fede.
Sulla questione di diritto affrontata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite si sono susseguite, negli scorsi anni, contrastanti pronunce giurisprudenziali. Un orientamento, infatti, afferma che l’amministratore condominiale può citare in giudizio, per il recupero delle quote di spesa relative alla gestione condominiale, colui che si comporta come condomino senza esserlo, anziché l’effettivo titolare dell’unità immobiliare. Tale giurisprudenza invoca il principio di apparenza di diritto, volto a tutelare i terzi di buona fede. La Suprema Cote, a Sezioni Unite, invece, accogli l’opposto orientamento, secondo il quale in tali casi non può essere invocato il principio suddetto, poiché quest’ultimo opera nei rapporti con terzi di buona fede. Nel caso del rapporto intercorrente tra il singolo condomino moroso e il condominio, invece, quest’ultimo non può essere considerato alla stregua di terzo, bensì di vera e propria parte del rapporto.