Il “benefondi” non vincola la banca
La Corte Suprema di Cassazione, Sez. I Civ., 10.3.2000, n. 2742, ha affermato che il cosiddetto “benefondi” costituisce una prassi interna ai rapporti tra gli istituti di credito, che non può essere invocata “al fine di farne discendere un obbligo di immediato accreditamento da parte della banca” se non risulti […] che il versamento sul conto corrente di un titolo di credito tratto su altra banca avvenga secondo una regolamentazione pattizia tale da imporre alla banca ricevente di mettere immediatamente a disposizione del suo cliente correntista la relativa somma”.
Si tratta di una sentenza che conferma il precedente orientamento manifestato, in materia, dalla Corte di Cassazione. La banca che negozia i titoli di credito effettua l’accreditamento sul conto corrente del cliente “salvo buon fine”, conservando la facoltà di stornare le somme relative, nel caso in cui la banca trattaria non effettui il pagamento del titolo. Il benefondi ha quindi natura esclusivamente di informazione interna, tra istituti di credito, e non ha rilevanza verso terzi, come più volte sottolineato dall’A.B.I.. Tuttavia, si segnala che la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 18.4.84, ha ritenuto legittimo il cosiddetto benefondi “con blocco dei fondi”, in base al quale una banca trattaria aveva considerato non disponibili le somme del proprio correntista, portate da un titolo presentato alla banca negoziatrice, elevando protesto su altri titoli del proprio correntista emessi successivamente a quello per cui era stato concesso il benefondi, e risultanti privi di sufficiente provvista.