Ripartizione della pensione di reversibilità tra ex coniuge divorziato e coniuge superstite.
La Corte Suprema di Cassazione, Sez. I, 14.3.2000 n. 2920, ha affermato che, nel determinare la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato (titolare di assegno di divorzio) e coniuge superstite, oltre al criterio della durata legale del matrimonio, secondo quanto dispone l’art.9 della L.898/70 (legge divorzio), il giudice dovrà avvalersi, quali criteri correttivi, di altri elementi, tra i quali l’ammontare dell’assegno di divorzio e le condizioni economiche nelle quali versano i soggetti coinvolti.
Con tale sentenza la Suprema Corte, discostandosi dall’orientamento precedente, che indicava quale unico criterio quello “temporale” della durata del primo matrimonio, ha recepito l’interpretazione della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 419/99, ha ritenuto legittimo il ricorso da parte del giudice ad altri criteri e parametri, quali appunto la valutazione delle situazioni economiche dei soggetti coinvolti. Sembra essersi, finalmente, risolta un’annosa questione, che ha registrato, nel passato, un vivace contrasto giurisprudenziale. Dai primi anni ’90 ad oggi, numerose decisioni “diametralmente” opposte sono state rese dalla Corte di Cassazione, a partire dalla sentenza n. 11121/94, che ampliava i margini di discrezionalità del magistrato, oltre al pur sempre principale criterio indicato dall’art. 9 della legge sul divorzio, fino alla recente sentenza n. 158/98 che, all’opposto, conferma quale “unico criterio” quello indicato dall’art. 9 citato. Propizia ed attesa, è giunta la citata sentenza della Corte Costituzionale, che ha “focalizzato” l’intenzione del legislatore nella volontà di assicurare all’ex coniuge, cui sia stato attribuito l’assegno di divorzio, la continuità del sostegno economico, mediante la reversibilità della pensione, non trascurando, tuttavia, di considerare la funzione solidaristica svolta dalla pensione di reversibilità, anche nei confronti del coniuge superstite.