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Il valore in dogana secondo i metodi del «valore dedotto» e di «fall back»

La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) è intervenuta con la sentenza del 20 giugno 2019, causa C-1/18, in ordine ad alcuni aspetti della normativa doganale relativa alla determinazione del valore in dogana, nel caso in cui sia necessario ricorrere al c.d. metodo del valore dedotto. Questo metodo è il terzo, in ordine gerarchico discendente, dei cinque metodi secondari descritti negli artt. da 141 a 144 del reg. di esecuzione (UE) 24 novembre 2015, n. 2447 (RE 2015), cui fa rinvio l’art. 74 del codice doganale dell’Unione (reg. (UE) 9 ottobre 2013, n. 952, CDU 2013).

La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) è intervenuta con la sentenza del 20 giugno 2019, causa C-1/18, in ordine ad alcuni aspetti della normativa doganale relativa alla determinazione del valore in dogana, nel caso in cui sia necessario ricorrere al c.d. metodo del valore dedotto. Questo metodo è il terzo, in ordine gerarchico discendente, dei cinque metodi secondari descritti negli artt. da 141 a 144 del reg. di esecuzione (UE) 24 novembre 2015, n. 2447 (RE 2015), cui fa rinvio l’art. 74 del codice doganale dell’Unione (reg. (UE) 9 ottobre 2013, n. 952, CDU 2013).

Il criterio principale del valore di transazione non condizionato prevede la dichiarazione, all’atto dell’immissione in libera pratica, del prezzo «pagato o da pagare» in una compravendita intercorsa tra soggetti tra loro indipendenti, eventualmente integrato con gli elementi obbligatori di cui all’art. 71, comma 1, CDU 2013. Tuttavia, potrebbe darsi il caso che non esista un valore di transazione relativo alle merci da valutare, perché ad esempio l’operazione commerciale non prevede una compravendita; oppure il valore di transazione dichiarato potrebbe non risultare applicabile a causa di condizionamenti che potrebbero aver inciso sulla quantificazione del prezzo; o, ancora, potrebbero sorgere dubbi sul fatto che il prezzo, per quanto completo di tutte le sue componenti, sia quello effettivamente pagato dal compratore perché eccessivamente basso rispetto a valori comunemente rilevati per operazioni commerciali analoghe, secondo il principio antielusivo di cui all’art. 144, comma 2, lett. g, RE 2015 in base al quale non sono mai ammessi «valori arbitrari o fittizi». In questi casi per la determinazione del valore in dogana è necessario ricorrere ai metodi secondari sopra indicati.

Tralasciando gli altri, il terzo metodo in ordine gerarchico discendente prevede il ricorso al «valore dedotto». Nel metodo del valore dedotto l’oggetto di indagine è il prezzo unitario al quale la merce da valutare (o merce identica o similare ad essa) è stata venduta all’interno del territorio doganale, «nel quantitativo complessivo maggiore a persone non collegate ai venditori» (art. 74, comma 2, lett. c), CDU 2013), «nello stesso momento o pressappoco al momento dell’importazione» delle merci da valutare, comunque non oltre 90 giorni dall’importazione ai sensi dell’art. 142, comma 2, RE 2015 (termine già presente nell’art. 152, comma 1, lett. b, DAC 1993) ed il cui valore potrebbe aver subito significativi incrementi successivamente all’entrata della merce nel territorio stesso. Questi incrementi, che non sono rilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana, devono essere, appunto, dedotti dal valore di transazione della merce venduta all’interno del territorio, in modo da individuare il valore di transazione reale che questa merce (o merce identica o similare ad essa) aveva al momento dell’entrata nel territorio doganale dell’Unione europea.

Struttura del metodo ed elementi da dedurre sono indicati in dettaglio nell’art. 142 RE 2015 e sono in parte speculari agli elementi da non includere nel valore in dogana secondo il criterio primario (art. 72 CDU 2013). Disposizioni speciali sono previste nel caso in cui non sia possibile individuare un prezzo unitario di vendita nel territorio doganale dell’Unione (art. 142, comma 3, RE 2015) e per la determinazione dei prezzi unitari relativi alle merci deperibili «importate in conto consegna» descritte nell’allegato 23-02 al reg. cit. (art. 142, comma 6, RE 2015). Nell’art. 142, comma 4, RE 2015, oltre al caso in cui venditore e compratore siano soggetti collegati, sono indicati gli altri casi in cui il metodo del valore dedotto non può essere applicato.

La sentenza CGUE C-1/18, riferita all’identico impianto normativo contenuto nell’abrogato codice doganale comunitario, interviene per chiarire due profili rilevanti nell’applicazione del metodo del valore dedotto: la possibilità di prendere in considerazione gli sconti ai fini della deduzione dal prezzo e la possibilità di interpretare in modo non tassativo il termine di 90 giorni dall’importazione della merce da valutare, per l’individuazione degli elementi necessari ai fini dell’applicazione del metodo stesso.

In entrambi i casi la risposta della Corte è stata negativa: «l’articolo 152, paragrafo 1, lettera a), da i) a iii), del regolamento di applicazione [DAC 1994, n.d.a.] – dice la Corte - prevede che si tenga conto di determinate deduzioni, tra le quali figurano alcune commissioni, le spese abituali di trasporto e di assicurazione, nonché i dazi all’importazione. Gli sconti commerciali concessi dal venditore non sono menzionati in tale articolo. Orbene, dalla formulazione di suddetta disposizione risulta che detto elenco di deduzioni è esaustivo. […] l’articolo 30, paragrafo 2, lettera c), del codice doganale [CDC 1992, n.d.a.] dev’essere interpretato nel senso che gli sconti sul prezzo di vendita delle merci importate non possono essere presi in considerazione per determinare il valore in dogana di tali merci in applicazione di detta disposizione» [punti 42 e 45, sent. cit.].

Per quanto riguarda il termine di 90 giorni la Corte ha precisato che si tratta di un termine tassativo (punto 39, sent. cit.), essendo consentita un’interpretazione flessibile del termine soltanto all’interno del quinto ed ultimo metodo secondario, definito di fall back nell’art. 144 RE 2015. Questo metodo è quello che, come ultima ratio, consente di ricorrere all’analogia ed ai principi generali del sistema. Secondo questo metodo, infatti, il valore di transazione da attribuire alle merci oggetto di valutazione deve essere individuato, in ultima analisi, sulla base dei dati disponibili nel territorio doganale dell’Unione e mediante ricorso «a mezzi ragionevoli» compatibili con i principi generali contenuti nell’accordo per l’applicazione dell’articolo VII GATT 1994, nell’originario art. VII dell’accordo GATT 1947 e nelle disposizioni del codice doganale dedicate alla determinazione del valore in dogana che costituiscono espressione di questi principi.

Il ricorso al metodo analogico, definito nel titolo dell’art. 144 RE 2015 anche metodo di fall back, che si può approssimativamente tradurre come «ritorno alle origini» e cioè ai principi fondamentali dell’art. VII GATT 1947, deve comunque seguire delle linee guida coerenti con l’intero sistema, per evitare che si risolva in un metodo aleatorio. Anche il metodo analogico ha infatti come obiettivo l’individuazione di un valore di transazione (o comunque un valore) per quanto possibile concreto, reale ed attendibile, riferito a merci dichiarate per l’immissione in libera pratica nel territorio doganale, segnatamente quello dell’Unione europea. Il metodo analogico non può essere basato quindi su valori che non siano riferibili alla vendita di prodotti per l’esportazione nel territorio doganale di riferimento. L’art. 7 dell’accordo per l’applicazione dell’art. VII GATT 1994 fornisce in tal senso alcune indicazioni, confluite successivamente nel­l’ordinamento doganale dell’Unione e, da ultimo, nell’art. 144 RE 2015; in quanto espressione di un principio generale, l’elenco non può essere considerato una lista chiusa. Secondo queste indicazioni, il valore di transazione non può in ogni caso essere determinato con riferimento:

  • al prezzo di vendita di merci nel mercato interno del paese di esportazione;

  • al prezzo di vendita per merci esportate verso un paese terzo;

  • al prezzo di vendita di merci prodotte all’interno del territorio doganale del­l’Unione;

  • a costi di produzione determinati in modo diverso da quanto stabilito per l’ap­plicazione del metodo del valore calcolato.

L’art. 7 cit., e così l’art. 144 RE 2015, contengono infine l’enunciazione di tre principi generali che possono essere letti sia in funzione di tutela del contribuente, sia in funzione antielusiva. Nella ricerca del valore attribuibile, infatti, è sempre escluso il riferimento:

  • al valore più alto rispetto a due valori possibili;

  • a valori minimi, al di sotto dei quali non sia possibile riferirsi;

  • a valori determinati in modo arbitrario o fittizio.

Sotto il profilo della tutela del contribuente, nella determinazione analogica del valore l’autorità doganale dovrà agire secondo il principio di buona fede e collaborazione, avuto riguardo alla posizione del dichiarante e non potrà imporre un valore minimo o un valore arbitrariamente medio o comunque determinato in modo avulso dall’ap­plicazione ragionevole degli strumenti tipici previsti dall’ordinamento e, ove occorra, dovrà far uso della necessaria flessibilità. Sotto il profilo antielusivo, anche le parti private dovranno ispirarsi al dovere di buona fede e di verità ed astenersi da dichiarazioni non corrispondenti alla realtà dei fatti oppure relative a fatti non verificabili o addirittura fraudolente; principio che, per la sua rilevanza, non può che assumere anche valenza di principio generale cui è ispirato l’intero sistema per la determinazione del valore in dogana fin dall’accordo GATT 1947, come è stato riconosciuto anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con giurisprudenza consolidata.

Piero Bellante – Avvocato in Verona

Estratto da Anasped, Newsletter n. 5/2020