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I figli dei genitori omosessuali hanno diritto ad ottenere un regolare documento di identità ed un passaporto dallo stato membro ospitante

La Corte di giustizia dell’Unione europea, nella sentenza C-490/20 del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon „Pancharevo“, causa C-490/20, ECLI:EU:C:2021:296, ha stabilito il principio secondo cui i figli di genitori omosessuali hanno il diritto di ottenere un regolare documento di identità da parte dello Stato membro ospitante, ancorché non sia stato emesso un atto di nascita dalle sue autorità nazionali. La sentenza, di portata storica, riafferma il primato del diritto dell’Unione sul diritto degli Stati membri; nel contempo tutela il best interest del minore, indipendentemente dalle sue origini e dalla connotazione sessuale dei suoi genitori.

Il caso trae origine dal rifiuto opposto dalle autorità bulgare alla richiesta di rilascio dell’atto di nascita per una bambina dell’età di due anni, nata in Spagna e figlia di due donne: una di nazionalità bulgara e l’altra di nazionalità inglese. L’atto era necessario per il rilascio del documento di identità della bambina. A supporto della richiesta era stato prodotto un estratto del registro dello stato civile di Barcellona (Spagna), relativo all’atto di nascita della bambina, dove le due donne erano state indicate come genitori. Tuttavia il Comune di Sofia rifiutava il rilascio del documento di identità, non essendo previsto in Bulgaria il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il diniego veniva impugnato dal una delle due donne davanti al’Adminstrativen sad Sofia-grad (Tribunale amministrativo di Sofia), il quale riconosceva che in forza della Costituzione bulgara e della legge sulla cittadinanza bulgara la minore aveva conseguito la cittadinanza bulgara, pur non potendo ottenere alcun documento o atto di nascita.

Lo stesso giudice, tuttavia, nutrendo dei dubbi sulla legittimità del rifiuto opposto dalle autorità amministrative, con riferimento al contenuto di cui agli artt. 20 e 21 TFUE e 7, 24 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza), decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte UE la questione pregiudiziale se detto rifiuto potesse o meno configurare una grave compromissione del diritto della minore alla sua libera circolazione all’interno dell’Unione europea e quindi il pieno godimento dei suoi diritti di cittadina dell’Unione.

La Corte di giustizia, sciogliendo la questione, ha affermato che «nel caso di un minore, cittadino dell’Unione, il cui atto di nascita rilasciato dalle autorità competenti dello stato membro ospitante designi come suoi genitori due persone dello stesso sesso, lo Stato membro, di cui tale minore è cittadino, è tenuto, da un lato, a rilasciargli una carta di identità o un passaporto, senza esigere la previa emissione di un atto di nascita da parte delle sue autorità nazionali e, dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente al minore di esercitare, con ciascuna di tali due persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» [dispositivo].

La Corte UE, va precisato, non entra nel merito del riconoscimento dei matrimoni tra coppie dello stesso sesso nei diversi paesi dell’Unione; bensì sancisce il pieno godimento del diritto fondamentale della libertà di circolazione del minore figlio di una coppia omosessuale.

A prescindere dal riconoscimento nei singoli Stati dei matrimoni di coppie dello stesso sesso, se il figlio di una coppia omossessuale è riconosciuto in uno Stato membro dell’Unione europea (nel caso di specie Spagna) il riconoscimento deve valere per tutti gli altri paesi dell’Unione. Ne consegue che lo Stato membro di cui il minore sia cittadino (nel caso di specie la Bulgaria) è obbligato a rilasciare al minore il documento di identità ed il passaporto, senza previa emissione dell’atto di nascita da parte delle autorità nazionali.

La Corte, nella sentenza in commento, ricorda che «allo stato attuale del diritto dell’Unione, lo status delle persone, in cui rientrano le norme sul matrimonio e sulla filiazione, è una questione di competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non incide su tale competenza. Gli Stati membri sono quindi liberi di prevedere o meno, nel loro diritto nazionale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la genitorialità di queste ultime. Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, ciascuno Stato membro deve rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà riconosciuta a ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, riconoscendo, a tal fine, lo status delle persone stabilito in un altro Stato membro conformemente al diritto di quest’ultimo», aggiungendo che «una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio della libera circolazione delle persone può essere giustificata solo se è conforme ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta di cui la Corte garantisce il rispetto».

Il principio affermato dalla Corte ha una portata storica: ogni bambino nato da una coppia omosessuale godrà degli stessi diritti in ogni Stato dell’Unione Europea, potrà liberamente circolare in tutti i paesi dell’Unione e non subirà alcuna discriminazione, anche nei Paesi che non riconoscono la validità del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Maria Rita La Lumia – Avvocato in Verona

15 dicembre 2021